Microplastiche in mare: ecco perché è un problema (serio) di salute
Produciamo ogni anno 450 milioni di tonnellate di plastica. Di queste, una cifra che oscilla tra 4,8 e 12,7 milioni di tonnellate finiscono in mare.
Dagli utensili da cucina alle medicine, dalle automobili agli aerei, la plastica ha rivoluzionato la nostra vita, cambiando le nostre abitudini e, spesso, le nostre azioni. Non c'è comparto che non sia interessato da materiali plastici: alcuni oggetti vengono utilizzati una sola volta, altri vengono riutilizzati molte più volte, ma tutti sono destinati a durare nell’ambiente per numerosi anni. La plastica si degrada molto lentamente, sciogliendosi in centinaia di anni, durante i quali si trasforma in particelle microscopiche.
Particelle che, finite in mare, sono facilmente ingeribili da pesci ed altri organismi e, attraverso la catena alimentare, arrivare nei nostri piatti, nel cibo che ingeriamo. Per avere un idea della grandezza del problema, basti pensare che 2017 l’ONU ha dichiarato che ci sono 51mila miliardi di particelle di microplastica nei mari, 500 volte più numerose di tutte le stelle della nostra galassia.
Secondo un documento dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), nel pesce, la concentrazione varia da 1 a 7 microplastiche, ed è misurata nello stomaco e nell’intestino, sito principale di accumulo di queste materie. Nei gamberi, ci sono 0,75 microplastiche per grammo, nei bivalvi troviamo tra 0,2 e 4 microplastiche per grammo.
Quali gli effetti sulla salute? Secondo l'Istituto Superiore di Sanità, ci possono essere rischi di natura fisica, chimica o microbiologica. I rischi fisici sono dovuti alle ridotte dimensioni del materiale, che può attraversare le barriere biologiche, come la barriera intestinale, ematoencefalica, testicolare e persino la placenta, e causare danni diretti, in particolare all’apparato respiratorio e all’apparato digerente.
I rischi chimici “derivano dalla presenza di contaminanti, come i plasticizzanti (ftalati, bisfenolo A) o i contaminanti persistenti (ritardanti di fiamma bromurati, idrocarburi policiclici aromatici, policlorobifenili) presenti nelle microplastiche. Infatti, le MP possono essere veicolo di sostanze potenzialmente pericolose di natura organica oppure inorganica. Attualmente esistono pochi dati sulla presenza e concentrazione di metalli nelle MP e sui contaminanti ad esse associati. Molti di essi, essendo interferenti endocrini, possono provocare danni a carico del sistema endocrino, causare problemi alla sfera riproduttiva e al metabolismo sia nei figli di genitori che sono stati esposti alle microplastiche durante la gravidanza, sia in età adulta a seguito di esposizione nelle prime fasi di vita (neonatale, infanzia, pubertà)”, si legge sul sito dell'Istituto superiore di sanità.
E ancora. Queste plastiche possono trasportare, attaccati alla loro superficie, microrganismi in grado di causare malattie: batteri come Escherichia coli, Bacillus cereus e Stenotrophomonas maltophilia sono stati rilevati, per esempio, nelle microplastiche raccolte al largo delle coste del Belgio.
Il problema delle plastiche in mare, dunque, non è esauribile nel concetto di inquinamento degli oceani, è cosa che va ben oltre. Riguarda tutti, i nostri pranzi e le nostre cene, ma soprattutto la nostra salute.
